Green Deal, elezioni e decarbonizzazione
L'attuazione del Green Deal e l'incognita del voto
GB Zorzoli, Associazione Italiana Economisti dell'Energia - AIEE - Associazione Italiana Economisti dell'Energia
Sulle elezioni europee del prossimo giugno esiste una sola certezza. Diversamente da tutte le precedenti, i suoi risultati non saranno letti alla stregua di un sondaggio sugli orientamenti politici dei partecipanti al voto (mai molto numerosi: pur essendo in crescita dell'8% rispetto a cinque anni prima, nel 2019 l'affluenza alle urne ha appena superato il 50%).
I dati dell'Eurobarometro dello scorso 6 giugno indicano infatti che, rispetto al 2018, i cittadini hanno acquisito una maggiore consapevolezza dell'importanza delle elezioni europee (45% degli intervistati), ma soprattutto manifestano un crescente interesse per la prossima consultazione (56%).
Si tratta di un cambiamento prevedibile, vista l'autorevolezza con cui l'UE è riuscita a fronteggiare le crisi che si sono succedute negli ultimi anni: Covid-19, caro energia, guerra in Ucraina. Cambiamento che trova un parziale riscontro nelle preoccupazioni dominanti tra i cittadini europei.
Secondo un sondaggio dell'Eurobarometro, effettuato a luglio 2023, al primo posto si collocava il crescente costo della vita (27%
degli intervistati), al secondo la situazione internazionale (25%), al terzo l'immigrazione (24%) e subito dopo il cambiamento climatico (22%), che è anche al centro delle preoccupazioni del mondo politico europeo in vista delle elezioni del 2024.
I sondaggi, ma anche i più recenti risultati elettorali in alcuni Paesi europei, tra cui l'Italia, concordano con la previsione non solo di un Europarlamento spostato più a destra per la maggiore presenza di rappresentanti dell'ECR (il partito dei conservatori e dei riformisti, cui aderisce FdI), ma anche di una possibile nuova maggioranza di governo, con la partecipazione della stessa ECR.
Uno spostamento peraltro anticipato dalle posizioni più caute sulle politiche climatiche assunte da due raggruppamenti che sostengono la cosiddetta maggioranza Ursula, avendo votato la von der Leyen per la presidenza della Commissione Europea. "Il crescente numero di regolamenti green europei pone grossi problemi.
È quindi importante non richiederne troppi", ha recentemente affermato Peter Liese, portavoce per la politica ambientale del PPE (partito dei popolari europei), il più importante tra quelli che compongono la maggioranza Ursula. Con lui concorda il presidente francese Macron, principale azionista del gruppo liberale Renew, anch'esso parte della maggioranza.
"Noi abbiamo già approvato un sacco di regolamenti europei, più di ogni altra parte del mondo. Chiedo pertanto una pausa europea".
Evidentemente, in alcuni importanti gruppi parlamentari che avevano sostenuto i provvedimenti per l'attuazione del Green Deal europeo, sta adesso prevalendo la preoccupazione di perdere voti a favore dei partiti che si collocano più a destra, dato che i cittadini voteranno preoccupati soprattutto per l'elevato costo della vita, per il deterioramento della situazione internazionale, per i crescenti flussi migratori.
Inoltre, durante la campagna elettorale saranno presumibilmente sottoposti al fuoco di fila di allarmi per le presunte ricadute, su di loro, dei costi, giudicati eccessivi, delle politiche climatiche: allarmi propalati ad arte da partiti oppositori della maggioranza Ursula.
Per di più, la ricaduta di una simile campagna sulle intenzioni di voto potrebbe trovare un terreno fertile nel silenzio sui cambiamenti economici e sociali, spesso significativi, indotti dalle politiche di decarbonizzazione, silenzio che ha finora caratterizzato le comunicazioni UE ai cittadini europei.
Il frequente ricorso ad affermazioni generiche tipo "senza lasciare indietro nessuno" alla lunga non poteva bastare. Occorreva dire chiaramente che la transizione energetica non è né un pranzo di gala, né un allegro picnic, bensì un percorso caratterizzato da ristrutturazioni di assetti sia aziendali, sia occupazionali; ristrutturazioni difficili da realizzare in assenza di un diffuso convincimento sulla loro necessità per evitare il disastro climatico. Considerazioni analoghe valgono per l'accettazione, da parte dei cittadini, di stili di vita più sobri.
Di conseguenza, proprio mentre gli effetti del cambiamento climatico stanno globalmente provocando con crescente frequenza e intensità eventi meteorologici estremi che, oltre a tempestivi interventi di adattamento, richiederebbero un'accelerazione del processo di decarbonizzazione, paradossalmente nessun altro punto del programma politico della maggioranza Ursula sembra rischiare un ridimensionamento paragonabile a quello che il Green Deal europeo potrebbe subire dopo le elezioni del prossimo anno.
D'altronde, la consueta giustificazione addotta per minimizzare le conseguenze di una simile frenata - l'UE è responsabile soltanto di poco più dell'8% delle emissioni climalteranti - regge solo dimenticando che nel 2022 il valore assoluto di queste emissioni ha collocato la sua economia al terzo posto nella classifica mondiale, superata soltanto da quelle della Cina (31%) e degli Stati Uniti (14%). L'UE non può dunque sottrarsi all'obbligo di perseguire politiche energetico-climatiche esemplari.
Si tratta di un cambiamento prevedibile, vista l'autorevolezza con cui l'UE è riuscita a fronteggiare le crisi che si sono succedute negli ultimi anni: Covid-19, caro energia, guerra in Ucraina. Cambiamento che trova un parziale riscontro nelle preoccupazioni dominanti tra i cittadini europei.
Secondo un sondaggio dell'Eurobarometro, effettuato a luglio 2023, al primo posto si collocava il crescente costo della vita (27%
degli intervistati), al secondo la situazione internazionale (25%), al terzo l'immigrazione (24%) e subito dopo il cambiamento climatico (22%), che è anche al centro delle preoccupazioni del mondo politico europeo in vista delle elezioni del 2024.
I sondaggi, ma anche i più recenti risultati elettorali in alcuni Paesi europei, tra cui l'Italia, concordano con la previsione non solo di un Europarlamento spostato più a destra per la maggiore presenza di rappresentanti dell'ECR (il partito dei conservatori e dei riformisti, cui aderisce FdI), ma anche di una possibile nuova maggioranza di governo, con la partecipazione della stessa ECR.
Uno spostamento peraltro anticipato dalle posizioni più caute sulle politiche climatiche assunte da due raggruppamenti che sostengono la cosiddetta maggioranza Ursula, avendo votato la von der Leyen per la presidenza della Commissione Europea. "Il crescente numero di regolamenti green europei pone grossi problemi.
È quindi importante non richiederne troppi", ha recentemente affermato Peter Liese, portavoce per la politica ambientale del PPE (partito dei popolari europei), il più importante tra quelli che compongono la maggioranza Ursula. Con lui concorda il presidente francese Macron, principale azionista del gruppo liberale Renew, anch'esso parte della maggioranza.
"Noi abbiamo già approvato un sacco di regolamenti europei, più di ogni altra parte del mondo. Chiedo pertanto una pausa europea".
Evidentemente, in alcuni importanti gruppi parlamentari che avevano sostenuto i provvedimenti per l'attuazione del Green Deal europeo, sta adesso prevalendo la preoccupazione di perdere voti a favore dei partiti che si collocano più a destra, dato che i cittadini voteranno preoccupati soprattutto per l'elevato costo della vita, per il deterioramento della situazione internazionale, per i crescenti flussi migratori.
Inoltre, durante la campagna elettorale saranno presumibilmente sottoposti al fuoco di fila di allarmi per le presunte ricadute, su di loro, dei costi, giudicati eccessivi, delle politiche climatiche: allarmi propalati ad arte da partiti oppositori della maggioranza Ursula.
Per di più, la ricaduta di una simile campagna sulle intenzioni di voto potrebbe trovare un terreno fertile nel silenzio sui cambiamenti economici e sociali, spesso significativi, indotti dalle politiche di decarbonizzazione, silenzio che ha finora caratterizzato le comunicazioni UE ai cittadini europei.
Il frequente ricorso ad affermazioni generiche tipo "senza lasciare indietro nessuno" alla lunga non poteva bastare. Occorreva dire chiaramente che la transizione energetica non è né un pranzo di gala, né un allegro picnic, bensì un percorso caratterizzato da ristrutturazioni di assetti sia aziendali, sia occupazionali; ristrutturazioni difficili da realizzare in assenza di un diffuso convincimento sulla loro necessità per evitare il disastro climatico. Considerazioni analoghe valgono per l'accettazione, da parte dei cittadini, di stili di vita più sobri.
Di conseguenza, proprio mentre gli effetti del cambiamento climatico stanno globalmente provocando con crescente frequenza e intensità eventi meteorologici estremi che, oltre a tempestivi interventi di adattamento, richiederebbero un'accelerazione del processo di decarbonizzazione, paradossalmente nessun altro punto del programma politico della maggioranza Ursula sembra rischiare un ridimensionamento paragonabile a quello che il Green Deal europeo potrebbe subire dopo le elezioni del prossimo anno.
D'altronde, la consueta giustificazione addotta per minimizzare le conseguenze di una simile frenata - l'UE è responsabile soltanto di poco più dell'8% delle emissioni climalteranti - regge solo dimenticando che nel 2022 il valore assoluto di queste emissioni ha collocato la sua economia al terzo posto nella classifica mondiale, superata soltanto da quelle della Cina (31%) e degli Stati Uniti (14%). L'UE non può dunque sottrarsi all'obbligo di perseguire politiche energetico-climatiche esemplari.
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Fonte: Editoriale La Termotecnica settembre 2023
Settori: Ambiente, Analisi, abbattimento e Controllo emissioni, Energia, Inquinamento, Rinnovabili, Termotecnica industriale
- EEA European Environment Agency
- CTI - Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente
- Luigi Mazzocchi
- Pierangelo Andreini
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