Gas liquefatto: quel maggior impiego imposto dalla guerra che ipoteca l'economia e il clima
Pierangelo Andreini - ATI Associazione Termotecnica Italiana
Il triennio ormai trascorso dall'inizio dell'Operazione Militare Speciale, come la Federazione Russa ha denominato la guerra non dichiarata che ha dato il via il 24 febbraio 2022 all'invasione dell'Ucraina, è stato a tutti gli effetti una fase di indubbia, irresponsabile regressione. Un periodo di grandi distruzioni, foriero di imperdonabili conseguenze, che gli annunci di questi giorni fanno sperare possa avere finalmente termine.
Il frutto di una crisi politica e diplomatica, degenerata in contrasto armato, che l'irriducibile volontà di prevalere che muove costantemente il Mondo ha impedito per troppo tempo di affrontare e risolvere. Un passo indietro che l'umanità ha compiuto nel suo cammino di crescita per imporre un diverso ordine globale.
Un arretramento che registra l'incapacità e la non volontà delle élite che governano il pianeta di correggere un difetto atavico, ignorando il monito delle enormi tragedie e degli immensi danni che esso ha causato nel corso della storia e nel succedersi delle generazioni. Un'involuzione dovuta alla scarsa consapevolezza di ciò che è stato e alla diffusa incoscienza di quanto si sta verificando sul piano sociale, economico, ambientale e climatico.
Un vizio, di cui si è scritto molte volte nella rivista, anche recentemente (1), nel quale gli uomini costantemente ricadono, perseverando nel combattere per il possesso di porzioni di terra, delle risorse in esse contenute, rivendicandone militarmente la proprietà e la sovranità, dimenticando che non sono nostre, ma le abbiamo solo "in prestito".
Pronti, pur di averle, a pagare il prezzo del loro annientamento, demolendole, inquinandole, avvelenandole e, comunque, violentandole. Arrivando all'assurdo di accettare il paradosso di estendere o mantenere il predominio su territori che
risultano poi gravemente compromessi e impoveriti, alterati per lunghi periodi di tempo e resi irriconoscibili, in alcuni casi irreversibilmente, con effetti che ricadono su tutti: popoli e Stati, vicini e lontani.
Come le drammatiche devastazioni sofferte dalla martoriata Ucraina, per non parlare delle altre, variamente disseminate, tra cui l'enormità di quelle subite dalla striscia di Gaza.
Le prime esaminate e discusse ultimamente in dicembre a Baku, in Azerbaijan, nei loro riflessi sul clima e sugli ecosistemi, nel quadro della 29° COP, detta "finanziaria" (2). Una testimonianza emblematica, rappresentata nell'occasione, delle mutilazioni e delle ferite profonde che infliggono gli scontri militari alle infrastrutture, civili e produttive, e all'ecosistema.
Con esiti sempre disastrosi, in vari casi incommensurabili, valutati dalla Banca Mondiale, quanto all'Ucraina, in 600 G$ necessari in 10 anni per la sua ricostruzione economica e sociale. Una cifra colossale, ben oltre il triplo del PIL annuo del Paese, 1/3 della quale richiesta in tempi brevi per provvedere alla riparazione dei danni diretti e ripristinare tempestivamente beni materiali essenziali, distrutti o danneggiati.
È il risultato degli incessanti bombardamenti che hanno demolito installazioni industriali e civili, incendiato boschi, del continuo movimento e impiego di mezzi militari e navali che hanno immesso nell'atmosfera e nelle acque, anche esternamente all'Ucraina, enormi quantità di sostanze nocive.
Le ostilità hanno comportato, infatti, come tutte le guerre, un altissimo consumo di carburanti, per le operazioni vere e proprie e per il rifornimento e la logistica, che incrementano fortemente i rilasci. Dato che nel conto vanno aggiunti gli sversamenti dei trasporti marittimi, gli effetti dell'incendio dei depositi, oggetto di continui attacchi, i gas e i residui prodotti dal consumo intenso di munizioni, dalla costruzione di fortificazioni lungo il fronte e altro.
Alterando, così, gravemente la qualità delle acque e dell'aria, la quale ultima porta con sé e diffonde le ceneri delle foreste bruciate, le polveri degli edifici distrutti, le emissioni generate dall'uso degli armamenti. E deteriorando quella dei fondi agricoli, la cui fertilità rendeva tre anni fa il Paese il quinto esportatore mondiale di grano e il terzo di mais e orzo, contribuendo all'esportazione globale di cereali per oltre il 10%.
Al contrario oggi, secondo vari osservatori, quasi 1/3 del territorio è gravemente compromesso. In quanto è contaminato da mine e ordigni inesplosi, cui si uniscono i resti non biodegradabili delle sostanze esplodenti, specie il TNT (trinitrotoluene) e i metalli pesanti, frequenti e persistenti nelle zone di guerra: piombo, antimonio, cromo, arsenico, mercurio, nichel, zinco, cadmio, rame, alcuni dei quali cancerogeni, che contaminano l'acqua e i terreni.
Tutto ciò ricade negativamente sulla salute dell'uomo e dell'ambiente e costituisce un grave pregiudizio, perché ha assoggettato l'Ucraina a una situazione di crescente insicurezza nello svolgimento delle attività economiche e sociali e nell'utilizzo dei suoli, ora e in prospettiva.
Visto che le bonifiche necessarie per rimuovere le mine e gli altri ordigni fittamente disseminati e ripristinare la vivibilità e salubrità dei luoghi richiederanno anni e spese imponenti.
Un arretramento che registra l'incapacità e la non volontà delle élite che governano il pianeta di correggere un difetto atavico, ignorando il monito delle enormi tragedie e degli immensi danni che esso ha causato nel corso della storia e nel succedersi delle generazioni. Un'involuzione dovuta alla scarsa consapevolezza di ciò che è stato e alla diffusa incoscienza di quanto si sta verificando sul piano sociale, economico, ambientale e climatico.
Un vizio, di cui si è scritto molte volte nella rivista, anche recentemente (1), nel quale gli uomini costantemente ricadono, perseverando nel combattere per il possesso di porzioni di terra, delle risorse in esse contenute, rivendicandone militarmente la proprietà e la sovranità, dimenticando che non sono nostre, ma le abbiamo solo "in prestito".
Pronti, pur di averle, a pagare il prezzo del loro annientamento, demolendole, inquinandole, avvelenandole e, comunque, violentandole. Arrivando all'assurdo di accettare il paradosso di estendere o mantenere il predominio su territori che
risultano poi gravemente compromessi e impoveriti, alterati per lunghi periodi di tempo e resi irriconoscibili, in alcuni casi irreversibilmente, con effetti che ricadono su tutti: popoli e Stati, vicini e lontani.
Come le drammatiche devastazioni sofferte dalla martoriata Ucraina, per non parlare delle altre, variamente disseminate, tra cui l'enormità di quelle subite dalla striscia di Gaza.
Le prime esaminate e discusse ultimamente in dicembre a Baku, in Azerbaijan, nei loro riflessi sul clima e sugli ecosistemi, nel quadro della 29° COP, detta "finanziaria" (2). Una testimonianza emblematica, rappresentata nell'occasione, delle mutilazioni e delle ferite profonde che infliggono gli scontri militari alle infrastrutture, civili e produttive, e all'ecosistema.
Con esiti sempre disastrosi, in vari casi incommensurabili, valutati dalla Banca Mondiale, quanto all'Ucraina, in 600 G$ necessari in 10 anni per la sua ricostruzione economica e sociale. Una cifra colossale, ben oltre il triplo del PIL annuo del Paese, 1/3 della quale richiesta in tempi brevi per provvedere alla riparazione dei danni diretti e ripristinare tempestivamente beni materiali essenziali, distrutti o danneggiati.
È il risultato degli incessanti bombardamenti che hanno demolito installazioni industriali e civili, incendiato boschi, del continuo movimento e impiego di mezzi militari e navali che hanno immesso nell'atmosfera e nelle acque, anche esternamente all'Ucraina, enormi quantità di sostanze nocive.
Le ostilità hanno comportato, infatti, come tutte le guerre, un altissimo consumo di carburanti, per le operazioni vere e proprie e per il rifornimento e la logistica, che incrementano fortemente i rilasci. Dato che nel conto vanno aggiunti gli sversamenti dei trasporti marittimi, gli effetti dell'incendio dei depositi, oggetto di continui attacchi, i gas e i residui prodotti dal consumo intenso di munizioni, dalla costruzione di fortificazioni lungo il fronte e altro.
Alterando, così, gravemente la qualità delle acque e dell'aria, la quale ultima porta con sé e diffonde le ceneri delle foreste bruciate, le polveri degli edifici distrutti, le emissioni generate dall'uso degli armamenti. E deteriorando quella dei fondi agricoli, la cui fertilità rendeva tre anni fa il Paese il quinto esportatore mondiale di grano e il terzo di mais e orzo, contribuendo all'esportazione globale di cereali per oltre il 10%.
Al contrario oggi, secondo vari osservatori, quasi 1/3 del territorio è gravemente compromesso. In quanto è contaminato da mine e ordigni inesplosi, cui si uniscono i resti non biodegradabili delle sostanze esplodenti, specie il TNT (trinitrotoluene) e i metalli pesanti, frequenti e persistenti nelle zone di guerra: piombo, antimonio, cromo, arsenico, mercurio, nichel, zinco, cadmio, rame, alcuni dei quali cancerogeni, che contaminano l'acqua e i terreni.
Tutto ciò ricade negativamente sulla salute dell'uomo e dell'ambiente e costituisce un grave pregiudizio, perché ha assoggettato l'Ucraina a una situazione di crescente insicurezza nello svolgimento delle attività economiche e sociali e nell'utilizzo dei suoli, ora e in prospettiva.
Visto che le bonifiche necessarie per rimuovere le mine e gli altri ordigni fittamente disseminati e ripristinare la vivibilità e salubrità dei luoghi richiederanno anni e spese imponenti.
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Fonte: La Termotecnica Febbraio 2025
Parole chiave: GNL, Termotecnica
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